Accesso e utilizzo dei dati del traffico telefonico

– Cassazione n. 01625/2016 –

Con riguardo ai dati del traffico telefonico, Sez. 1, n. 01625/2016, Lamorgese, Rv. 638562, stabilisce, applicando l’articolo 132 del Codice della privacy, nella versione risultante dalle modifiche apportate dal d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv. con modif. nella l. 31 luglio 2005, n. 155, applicabile ratione temporis, che una volta trascorsi 24 mesi, è precluso ai privati l’accesso e il conseguente utilizzo dei dati del traffico telefonico per finalità di  investigazioni difensive, in relazione a procedimenti penali per reati diversi da quelli indicati dall’articolo 407, comma 2, lettera a), c.p.p.

Ciò posto, la Corte ritiene che la mancata conservazione dei dati da parte della società non abbia leso il diritto di difesa del ricorrente.

Difatti, il bilanciamento del «diritto dei terzi coinvolti nei dati di traffico telefonico alla segretezza delle comunicazioni e il diritto di difesa al quale è funzionale l’esigenza investigativa dei privati richiedenti l’accesso» è stata effettuata direttamente e discrezionalmente dal legislatore, il quale ha individuato un lasso di tempo distinto a seconda della tipologia di reato interessato, trascorso il quale il diritto di accesso finalizzato alle esigenze investigative non può più essere esercitato.

In tema di protezione dei dati personali, è legittimo il rigetto dell’istanza di accesso ai tabulati telefonici, da parte di privati per finalità di repressione dei reati diversi da quelli previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., inoltrata oltre i termini previsti dall’art. 132 cod. privacy (nel testo applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 144 del 2005).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il sig. P.P. e la Centro Delta srl. hanno presentato alla Telecom Italia spa, il 1 dicembre 2006 e il 15 marzo 2007, alcune istanze di accesso ai tabulati telefonici, relativi al periodo dal gennaio 2001 al 18 ottobre 2004, di un’utenza mobile (n. (OMISSIS)) data in uso al P. dal predetto Centro, assumendo che fossero utili per finalità di investigazioni difensive, essendo il P. imputato in un procedimento penale.

2.- Avverso il rigetto delle sue istanze deliberato dalla Telecom gli interessati hanno proposto ricorso al Garante per la protezione dei dati personali, il quale lo ha rigettato con provvedimento del 25 marzo 2008, e poi al Tribunale di Napoli, il quale ha dichiarato la propria incompetenza e concesso termine per la riassunzione del giudizio.

Il Tribunale di Milano, dinanzi al quale la causa è stata riassunta, ha rigettato l’eccezione di estinzione del giudizio (per tardività della notifica del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza) e, nel merito, ha rigettato il ricorso. Il Tribunale ha ritenuto corretta l’applicazione da parte del Garante dell’art. 132 cod. privacy (D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196) che, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva un termine di ventiquattro mesi per la conservazione dei (e l’accesso ai) dati personali in relazione alla finalità di accertamento e repressione dei reati, con la conseguenza che le istanze di accesso presentate dal P. erano tardive rispetto all’epoca cui si riferivano i tabulati, non applicandosi l’ulteriore termine di ventiquattro mesi che era previsto solo per l’accertamento e la repressione dei reati di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), e di quelli in danno dei sistemi informatici o telematici; ha inoltre osservato che l’istanza di accesso era stata respinta anche dal giudice penale nell’ambito del procedimento penale nel quale il P. era indagato.

3.- Avverso questa sentenza il P. e la Centro Delta hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui si sono opposti il Garante per la protezione dei dati personali e la Telecom Italia, la quale ha presentato un ricorso incidentale. Le parti hanno presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Nel primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 132 cod. privacy, del D.L. n. 144 del 2005 e del D.L. n. 248 del 2007, nonchè vizio di motivazione, per avere escluso l’obbligo della Telecom di conservare i dati telefonici per quarantotto mesi, che non erano decorsi, avuto riguardo alle date di presentazione delle istanze di accesso (1 dicembre 2006 e 15 marzo 2007), dovendosi – a loro avviso – applicare il cit. art. 132, comma 2 anche ai delitti di cui all’art. 416 c.p. per i quali è previsto l’arresto obbligatorio (art. 270 c.p.p.).

1.1.- L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Telecom è infondata. E’ vero che il motivo è strutturato in modo ambiguo, poichè censura, in parte, una ratio decidendi inesistente, avente ad oggetto l’obbligo di conservazione dei dati del traffico telefonico da parte di Telecom, che rileva nel giudizio solo come presupposto di fatto dell’accesso e, in tal senso, non costituisce il reale oggetto del giudizio; tuttavia, esso censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha negato il diritto di accesso ai dati, in tal modo aggredendo la ratio decidendi posta dai giudici di merito a fondamento della decisione.

1.2.- Il motivo è però infondato.

Il Tribunale ha negato l’accesso richiesto dal P. con una prima istanza del 1 dicembre 2006, poichè i tabulati, ai quali egli era interessato, si riferivano a un periodo (gennaio 2001-ottobre 2004) risalente a più di ventiquattro mesi prima. Questa decisione ha fatto corretta applicazione dell’art. 132 cod. privacy, commi 1 e 3, nel testo allora in vigore (modificato dal D.L. 24 dicembre 2003, n. 354, art. 3 conv., con mod., in L. 26 febbraio 2004, n. 45, e del D.L. 27 luglio 2005 n. 144, art. 6, comma 3, conv., con mod., in L. 31 luglio 2005, n. 155), che prevedeva un termine di ventiquattro mesi per la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico per finalità di accertamento e repressione dei reati, entro il quale il difensore dell’imputato o della persona indagata poteva chiedere direttamente al fornitore i dati relativi al proprio assistito. I ricorrenti sostengono che vi fosse un obbligo di conservazione per ulteriori ventiquattro mesi per l’accertamento dei reati per i quali era obbligatorio l’arresto in flagranza, a norma dell’art. 270 c.p.p. E’ una tesi che non trova fondamento nell’art. 132 cod. privacy che, nel comma 2, prevedeva l’obbligo di conservazione dei dati del traffico telefonico per ulteriori ventiquattro mesi (cioè complessivamente per quarantotto mesi) soltanto “per esclusive finalità di accertamento e repressione dei delitti di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), nonchè dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici” e con l’intervento del giudice il quale doveva autorizzarne l’acquisizione con decreto motivato (comma 4). I ricorrenti non hanno dedotto che le indagini difensive nel cui ambito è stata avanzata la richiesta di accesso fossero relative a uno dei reati previsti dall’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), e non hanno neppure precisato con chiarezza per quali reati il P. fosse stato indagato o imputato (si sono limitati a richiamare l’art. 416 c.p.). La previsione dell’obbligo di arresto in flagranza (nelle ipotesi di cui all’art. 380 c.p.p.) non integra l’ipotesi normativa considerata, a prescindere dal rilievo che la questione non è stata proposta nel giudizio di merito, ma solo in sede di legittimità.

Inoltre, il D.L. 27 luglio 2005, n. 144, art. 6 (contenente misure di contrasto del terrorismo internazionale), conv., con mod., in L. 31 luglio 2005, n. 155, nella parte in cui sospende l’applicazione delle disposizioni che prescrivono o consentono la cancellazione dei dati del traffico telefonico fino alla data di entrata in vigore della direttiva 2006/24/CE (attuata con D.Lgs. 30 maggio 2008 n. 109) e comunque non oltre il 31 dicembre 2008, non è utile a dimostrare la fondatezza della tesi dei ricorrenti, perchè non pertinente rispetto alla questione, sulla quale verte la controversia in esame, del preteso libero accesso ai dati stessi da parte dei privati (sul citato art. 6 ci si soffermerà anche più avanti).

2.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del cod. privacy e dell’art. 24 Cost., nonchè vizio di motivazione, per non avere il Tribunale tenuto conto della necessità di operare il necessario bilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto di difesa del P. e per non avere considerato che la Telecom, al momento della presentazione dell’istanza di accesso, pur essendo tenuta per legge alla conservazione dei tabulati, li aveva distrutti, in tal modo pregiudicando irrimediabilmente il diritto di difesa del P..

2.- Il motivo è infondato.

La questione che si pone è se sia giustificata e razionale l’interpretazione dell’art. 132 cod. privacy, commi 2 e 3 (nel testo allora in vigore), fatta propria dal giudice di merito, secondo la quale, una volta che siano decorsi i primi ventiquattro mesi, è preclusa l’utilizzazione dei dati del traffico telefonico e (per quanto qui interessa) l’accesso ad essi da parte dei privati, per finalità di repressione dei reati diversi da quelli previsti dall’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a). Ad avviso dei ricorrenti, la risposta negativa a tale questione troverebbe giustificazione nella necessità (e nel connesso dovere del giudice) di bilanciare il diritto dei terzi coinvolti nei dati di traffico telefonico alla segretezza delle comunicazioni e il diritto di difesa al quale è funzionale l’esigenza investigativa dei privati richiedenti l’accesso. Questa tesi non è condivisibile. Infatti, il suddetto bilanciamento tra i diversi valori in campo è stato operato direttamente dal legislatore che, nell’art. 132 cod. privacy, ha consentito l’utilizzazione dei (e indirettamente l’accesso ai) dati telefonici per il più lungo periodo di tempo di quarantotto mesi soltanto nell’ambito dei procedimenti riguardanti l’accertamento di una categoria predeterminata di crimini (quali sono appunto quelli di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale. In tale scelta la Corte costituzionale (sent. n. 372/2006) ha ravvisato un ragionevole bilanciamento, operato discrezionalmente dal legislatore, tra il diritto inviolabile dei singoli alla libertà e segretezza delle comunicazioni e l’interesse primario alla repressione dei reati, al quale è ancillare il diritto di difesa delle persone coinvolte.

Infine, non si vede quale sia l’interesse dei ricorrenti a dedurre l’illegittimità del comportamento di Telecom, per avere distrutto dati del traffico telefonico che, in tesi, aveva l’obbligo di conservare, una volta escluso il loro diritto di accesso agli stessi.

Il fondamento di tale diritto è ravvisato erroneamente nel D.L. n. 144 del 2005, art. 6 cit., come si è già detto. Inoltre, tale disposizione non sarebbe comunque idonea a rendere obbligatoria la conservazione ed ostensione dei dati una volta che sia scaduto il termine ivi previsto per la loro conservazione da parte del gestore (“non oltre il 31 dicembre 2008”), seppur nel corso del procedimento giurisdizionale, ma prima della sentenza del giudice chiamato a decidere sulla esistenza e attualità del diritto di accesso azionato.

3.- In conclusione, il ricorso principale è rigettato; il ricorso incidentale di Telecom, da intendere come condizionato, è assorbito.

4. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, in considerazione della novità e complessità delle questioni trattate.
PQM
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2016