In tema di diritto d’autore relativo a programmi televisivi, ai fini della configurabilità di un’opera dell’ingegno, Sez. 1, n. 18633/2017 Di Marzio, chiarisce che, pur potendosi prescindere da una assoluta novità ed originalità di essa e nell’ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è necessario, con riferimento al “format” cioè all’idea base di programma quale modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni ed in assenza di una definizione normativa, avere riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, secondo cui l’opera, ai fini della prescritta tutela, deve presentare come elementi qualificanti articolazioni sequenziali e tematiche costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma. L’art. 110 della legge n. 633 del 1941 sul diritto d’autore, nel prevedere che la trasmissione dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno deve essere provata per iscritto, non è applicabile quando il committente abbia acquistato i diritti di utilizzazione economica dell’opera per effetto ed in esecuzione di un contratto d’appalto concluso con l’autore, poiché, in tal caso, non ha luogo un trasferimento dal momento che tali diritti sorgono direttamente in capo al committente (fattispecie relativa al programma televisivo “amore criminale” incentrato sulla narrazione di episodi di cronaca nera di donne uccise dai loro compagni). RITENUTO IN FATTO FATTI DI CAUSA 1. – Reti Televisive Italiane S.p.A. ha convenuto in giudizio Ruvido Produzioni S.r.l. dinanzi al Tribunale di Roma ed ha proposto una pluralità di domande aventi ad oggetto il format, la puntata pilota e le successive del programma televisivo, poi trasmesso da (OMISSIS), incentrato sulla narrazione di episodi di cronaca nera di donne uccise dai loro compagni. La società attrice ha anzitutto sostenuto, in breve, di avere essa stessa contribuito ad elaborare il format sulla base di una idea ancora allo stato embrionale proveniente dalla convenuta, fornendo inoltre i materiali per la creazione della puntata pilota dedicata alla vicenda di S. O.J.. Ha aggiunto l’attrice che tra le parti era stato concluso un contratto ovvero un preliminare di appalto in forza del quale Ruvido Produzioni S.r.l. si era impegnata a realizzare il pilota e le puntate successive, obbligazione poi non adempiuta. Di qui la domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità della condotta della convenuta, con le pronunce consequenziali, tenuto conto che il format era stato impiegato per la realizzazione della trasmissione per (OMISSIS), che aveva pure trasmesso la puntata pilota su O.J. S.. In subordine l’attrice ha dedotto a fondamento della domanda la responsabilità precontrattuale, extracontrattuale e per concorrenza sleale della convenuta, chiedendo altresì di essere indennizzata ai sensi dell’art. 2041 c.c.. 2. – Nel contraddittorio con Ruvido Produzioni S.r.l., il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda. 3. – Contro la sentenza Reti Televisive Italiane S.p.A. ha proposto appello al quale Ruvido Produzioni S.r.l. ha resistito e che la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 giugno 2013, ha respinto, ritenendo quanto segue: -) che il Tribunale aveva correttamente escluso la contitolarità, in capo all’attrice, dei diritti sul programma televisivo “(OMISSIS)” e sul relativo format, dal momento che quest’ultimo era stato creato da D.M. e P.L. per Ruvido Produzioni S.r.l., senza che i modesti successivi apporti di Reti Televisive Italiane S.p.A. avessero apprezzabilmente inciso su di esso; – che Reti Televisive Italiane S.p.A. non aveva provato di aver fornito i materiali utilizzati per la creazione della puntata pilota e che, in ogni caso, l’utilizzazione di tali materiali non avrebbe fatto acquistare a detta società diritti sull’opera; -) che correttamente il Tribunale aveva escluso la stipulazione, allegata dall’originaria attrice, del contratto di appalto, trattandosi di contratto per il quale era richiesta la forma scritta ad probationem ai sensi dell’art. 110 Legge sul diritto d’autore, con la precisazione che la prova testimoniale, in tale contesto, non era ammissibile se non nel caso contemplato dall’art. 2724 c.c., n. 3 (perdita incolpevole del documento) e che la sua inammissibilità poteva essere rilevata dal giudice; -) che non sussisteva responsabilità precontrattuale di Ruvido Produzioni S.r.l., non risultando che le trattative tra le parti fossero giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere il ragionevole affidamento sulla stipulazione del contratto e che, comunque, l’interruzione delle trattative era stata provocata dal disaccordo tra le parti in ordine alla contitolarità dell’opera; -) che non sussisteva responsabilità di Ruvido Produzioni S.r.l. per concorrenza sleale, considerata la banalità dei suggerimenti forniti dall’appellante, tali da risultare inidonei a fondare la paternità dell’opera; -) che l’attrice non aveva nè allegato nè provato i fatti costitutivi della domanda di responsabilità extracontrattuale quali il dolo o la colpa del presunto danneggiante ed il nesso di causalità tra il fatto illecito ed il danno lamentato; -) che il Tribunale aveva correttamente rigettato la domanda di indennizzo a titolo di ingiustificato arricchimento a norma dell’art. 2041 c.c., atteso il carattere residuale e sussidiario dell’azione, che non poteva essere proposta neppure in via che la data nell’ipotesi di rigetto dell’altra azione in concreto esperita. 4. – Per la cassazione della sentenza Reti Televisive Italiane S.p.A. ha proposto ricorso affidato ad otto motivi ed ha anche depositato memoria. Ruvido Produzioni S.r.l. ha resistito con controricorso con il quale ha tra l’altro chiesto la cancellazione di frasi giudicate offensive ai sensi dell’art. 89 c.p.c.. CONSIDERATO IN DIRITTO RAGIONI DELLA DECISIONE 1. – Il ricorso contiene otto motivi. 1.1. – Il primo motivo è rubricato: “art. 360, n. 4, nullità della sentenza in relazione all’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 156 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.“. Sostiene la società ricorrente che la Corte d’appello avrebbe recepito acritica mente e per relationem la motivazione del Tribunale, eccezion fatta per la statuizione concernente il rigetto della domanda ex art. 1337 c.c.. 1.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Art. 360, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 3 Cost., agli art. 2575 c.c. ed L. n. 633 del 1941, artt. 1 e 10“. Si duole la società ricorrente del mancato riconoscimento del suo contributo, che, alla stregua della nozione di format non normativamente disciplinata ma emergente dalla giurisprudenza di questa Corte, avrebbe segnato il passaggio dall’idea di base, anche creativa di programma, al vero e proprio programma completo per la messa in onda, anzitutto sotto forma di puntata pilota sul caso O.J. S.. 1.3. – Il terzo motivo è rubricato: “Art. 360, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2724 e 2725 c.c., L. n. 633 del 1941, art. 110,artt. 2581 e 1655 c.c.“. Secondo la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che il dedotto contratto di appalto richiedesse la forma scritta ad probationem, dal momento che la conclusione del detto contratto non comportava la trasmissione dei diritti di utilizzazione ai sensi dell’art. 110 Legge sul diritto d’autore. 1.4. – Il quarto motivo è rubricato: “Art. 360, nn. 3-4. Violazione e/o falsa applicazione di norme, nullità della sentenza o del procedimento, art. 24 Cost., comma 2, artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 e 2725 c.c.“. Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel non ammettere le prove testimoniali richieste, anche per averne rilevato d’ufficio l’inammissibilità, omettendo la valutazione della sussistenza di un principio di prova scritta ai sensi dell’art. 2724 c.c., comma 1. Si aggiunge che l’originaria convenuta non avrebbe contestato di aver ricevuto materiale audio-video su O.J. S.. 1.5. – Il quinto motivo è rubricato: “Art. 360, n. 3. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1337, 1175 e 1375 c.c.”. Si sostiene che Ruvido Produzioni S.r.l. avrebbe accampato come scusa per il recesso la richiesta di riconoscimento di diritti autorali in capo a Reti Televisive Italiane S.p.A., senza dare a quest’ultima alcuna chance, benchè le parti fossero d’accordo su tutti gli elementi essenziali del contratto. 1.6. – Il sesto motivo è rubricato: “Art. 360 c.p.c., nn. 3-4. Violazione del principio dell’onere della prova e di vicinanza della stessa in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.“. Secondo la ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel non avvedersi che l’onere della prova di non aver intrattenuto trattative parallele con altri acquirenti concorrenti incombeva su Ruvido Produzioni S.r.l., tanto più che il programma su (OMISSIS) era stato trasmesso nel (OMISSIS) dopo brevissimo tempo dall’interruzione delle trattative. 1.7. – Il settimo motivo è rubricato: “Violazione dell’art. 2598 c.c., n. 3 con riferimento alla reiezione della domanda di condanna di Ruvido per atti di concorrenza sleale”. Afferma Reti Televisive Italiane S.p.A. che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere ogni responsabilità per concorrenza sleale in capo all’originaria convenuta sul rilievo che era stata esclusa la contitolarità dell’opera, omettendo di procedere all’esame della fattispecie alla luce dei principi di buona fede e correttezza nei rapporti tra imprenditori nonchè dei principi etici che governano l’attività degli imprenditori di una determinata categoria, dal momento che Ruvido Produzioni S.r.l. aveva utilizzato il know-how, l’organizzazione di mezzi, il personale ed il materiale d’archivio forniti dall’impresa, ricorrendo pertanto la fattispecie di cui al n. 3 della norma richiamata in rubrica. 1.8. – L’ottavo motivo è rubricato: “Art. 360, nn. 3 – 4. Nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della responsabilità extracontrattuale e violazione dell’art. 112 anche in relazione all’art. 306, n. 3, art. 111 Cost. e dell’art. 6 p. 1 CEDU”. Secondo la ricorrente la Corte d’appello non avrebbe dovuto ritenere generica la domanda di responsabilità extracontrattuale, che era stata formulata tempestivamente nell’atto introduttivo, ma avrebbe dovuto provvedervi senza eccepire formalismi che non sono confacenti al nostro ordinamento, nè alla normativa sovranazionale ed al principio della cosiddetta effettività della tutela giurisdizionale e del diritto di accesso al tribunale. 2. – Il ricorso va respinto. 2.1. – Il primo motivo è infondato. E’ ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (da ult. Cass. 19 luglio 2016, n. 14786). Nel caso in esame la Corte d’appello ha singolarmente riassunto ed esaminato i motivi spiegati da Reti Televisive Italiane S.p.A. a fondamento dell’impugnazione, richiamando e mostrando di condividere il percorso motivazionale in proposito già seguito dal primo giudice, il cui ragionamento è stato altresì integrato laddove ritenuto necessario, il tutto secondo quanto si è già visto in espositiva. Sicchè non ricorre la denunciata violazione dell’obbligo di motivazione previsto dalla legge. 2.2. – Il secondo motivo è inammissibile. Questa Corte si è in più occasioni occupata del format di un programma televisivo. E’ stato affermato che, per stabilire se il format di un programma televisivo integri gli estremi dell’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, pur dovendosi prescindere da un’assoluta novità e originalità di esso nell’ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è possibile – in assenza di una definizione normativa – aver riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della Siae n. 66 del 1994, secondo cui l’opera deve presentare, come elementi qualificanti, articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma. Su tale presupposto questa Corte ha ritenuto che correttamente, in quel caso, i giudici d’appello non avessero concesso tutela a programmi televisivi prevalentemente caratterizzati da dialoghi tra attore-autore e pubblico del tutto improvvisati e privi di qualsiasi struttura predefinita (Cass. 17 febbraio 2010, n. 3817). Si è aggiunto che la figura del format di un programma televisivo, la quale sembra adattarsi meglio a spettacoli d’intrattenimento che non ad opere destinate ad avere un vero e proprio sviluppo narrativo, richiede in tal caso una struttura programmatica dotata di un grado minimo di elaborazione creativa, il che postula l’individuazione iniziale almeno degli elementi strutturali di detta vicenda, e quindi della sua ambientazione nel tempo e nello spazio, dei personaggi principali, del loro carattere e del filo conduttore della narrazione, con l’ulteriore conseguenza che in mancanza di tali elementi non è possibile invocare la tutela afferente alle opere dell’ingegno, perchè si è in presenza di un’ideazione ancora così vaga e generica da esser paragonabile ad una scatola vuota, priva di qualsiasi utilizzabilità mercantile e carente dei requisiti di creatività ed individualità indispensabili per la configurabilità stessa di un’opera dell’ingegno (Cass. 13 ottobre 2011, n. 21172). Si è ancora ribadita l’astratta tutelabilità dei format qualora in essi siano riscontrabili la condizione della creatività di cui all’art. 1 della legge sul diritto d’autore, con la precisazione che il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la norma, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 citato, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perchè l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia (Cass. 16 giugno 2011, n. 13249, che richiama Cass. 2 dicembre 1993, n. 11953; Cass. 12 marzo 2004, n. 5089; Cass. 27 ottobre 2005, n. 20925). In breve questa Corte intende per format di un programma televisivo, tutelabile quale opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, uno schema di programma, un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali, generalmente destinato ad una produzione televisiva seriale, come risultante da una sintetica descrizione. Orbene, mentre la Corte d’appello ha avuto ben presente l’indirizzo rammentato, richiamando tra l’altro la citata definizione proveniente dalla SIAE (pagina 4), la denuncia di violazione di legge, operata dalla società ricorrente, è senz’altro infondata. E’ difatti agevole osservare che la violazione della legge, intesa in generale, si articola nei due momenti ai quali si riferisce l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ossia la violazione in senso proprio e la falsa applicazione: a) l’una concernente la ricerca e l’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto; b) l’altra concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto, una volta correttamente individuata ed interpretata. In relazione al primo momento, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata; con riferimento al secondo momento, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, alternativamente: a) nel sussumere la fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perchè, rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro; b) nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (in questi termini Cass. 26 settembre 2005, n. 18782). Ricorre insomma la violazione ogni qualvolta vi è un vizio nella individuazione o nell’attribuzione di significato ad una disposizione normativa; ricorre invece la falsa applicazione qualora l’errore si sia annidato nella individuazione della esatta portata precettiva della norma, che il giudice di merito abbia applicato ad una fattispecie non corrispondente a quella descritta nella norma stessa. Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (di recente tra le tante Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110). Nel caso in esame, come si premetteva, la censura spiegata da Reti Televisive Italiane S.p.A. non ha nulla a che vedere nè con la violazione di legge in senso proprio nè con la falsa applicazione, giacchè (a tacere del fatto che la legge non disciplina il format) ciò che la ricorrente ha attaccato è in effetti, dietro il velo del richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 3, la motivazione in fatto svolta dal giudice di merito, il quale ha in buona sostanza ritenuto, ed insindacabilmente (v. la citata Cass. 16 giugno 2011, n. 13249), che il format del programma televisivo “(OMISSIS)”, elaborato da Ruvido Produzioni S.r.I., fosse dotato di una sufficiente definizione creativa, mentre le modificazioni suggerite da Reti Televisive Italiane S.p.A. fossero marginali ed in definitiva insignificanti. Apprezzamento di merito, quest’ultimo, evidentemente destinato a sfuggire al sindacato di questa Corte, se non, ma soltanto ipoteticamente, per vizio motivazionale: vizio in questo caso in ogni caso irrilevante, trattandosi di sentenza pubblicata il 5 giugno 2013 alla quale si applica, versandosi in ipotesi di “doppia conforme”, l’art. 348 ter c.p.c., con esclusione della ricorribilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Di qui l’inammissibiltà della censura. 2.3. – Il terzo e quarto motivo, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, vanno respinti per le ragioni che seguono. La Corte d’appello ha osservato che, anche a voler ipotizzare la conclusione tra le parti di un contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione, da parte di Ruvido Produzioni S.r.l., quale appaltatrice, della puntata pilota dedicata ad O.J. S. e della successiva serie di puntate del programma “(OMISSIS)”, ciò avrebbe comunque comportato, unitamente all’acquisto da parte della committente Reti Televisive Italiane S.p.A. della titolarità dell’opera realizzata, la trasmissione, in favore della stessa committente, dei diritti di utilizzazione del format. Sicchè tale contratto – ha concluso la Corte d’appello – avrebbe richiesto, pur trattandosi di un contratto di appalto, di essere provato per iscritto, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 110: prova viceversa mancante. Tale affermazione non può essere condivisa. Questa Corte ha di recente affermato il principio secondo cui, il citato art. 110 non è applicabile quando il committente abbia acquistato i diritti di utilizzazione economica dell’opera per effetto ed in esecuzione di un contratto di prestazione d’opera intellettuale concluso con l’autore (Cass. 24 giugno 2016, n. 13171): e ciò perchè, in tal caso, non ha luogo un trasferimento, dal momento che tali diritti sorgono direttamente in capo al committente. Ora, il menzionato principio è estensibile all’appalto avente ad oggetto la realizzazione di programmi televisivi. Ne discende che la Corte ha errato nel ritenere che la stipulazione del contratto di appalto per la realizzazione delle puntate della trasmissione, pilota e successive, dovesse essere esclusa per mancanza della prova scritta ad probationem, e che ciò precludesse l’ammissione della prova testimoniale al riguardo richiesta. Ciò detto, vale tuttavia osservare che la prova era in proposito superflua e generica, sicchè la decisione di non ammettere la prova testimoniale volta alla dimostrazione della stipulazione del contratto (preliminare o definitivo) di appalto risulta comunque conforme a diritto. Quanto alla superfluità è difatti agevole rilevare che l’impostazione della tesi svolta dall’originaria attrice era tutta diretta a dimostrare di avere essa stessa contribuito all’elaborazione del format sulla base di una idea allo stato soltanto abbozzata dalla convenuta, fornendo, come si è detto in espositiva, i materiali per la creazione della puntata pilota: ma, posto che l’appalto consiste nell’affidamento del compimento dell’opera (o del servizio) all’appaltatore, il quale si assume il rischio dell’organizzazione dei mezzi necessari, è di tutta evidenza che nessuna pattuizione di tal fatta poteva ritenersi stipulata nel quadro della sinergica condotta delle parti allegata dall’attrice. Quanto alla genericità, essa è altrettanto evidente dalla lettura dei capitoli di prova riportati alle pagine 6-10 del ricorso. Difatti i capitoli fino al n. 13, lungi dal far riferimento alla stipulazione del contratto di appalto, hanno piuttosto ad oggetto proprio l’attività di collaborazione tra le parti in vista della realizzazione del programma in discorso, sia attraverso indicazioni e suggerimenti forniti da Reti Televisive Italiane S.p.A., sia attraverso l’impiego da parte della convenuta di materiale prelevato dall’archivio audiovisivo della società attrice. Della stipulazione di un contratto si discorre dal capitolo 14 al capitolo 18, senza tuttavia che nessun riferimento risulti ivi contenuto, nè esplicitamente nè per implicito, alla natura di appalto della pattuizione oggetto di prova. Nessun riferimento alla stipulazione del contratto di appalto è poi contenuto nei capitoli da 19 a 36. Nel capitolo 37 si fa riferimento ad un accordo avente ad oggetto la realizzazione della puntata pilota, ma ancora una volta non risulta che detta realizzazione dovesse avvenire in regime di appalto, tanto più che subito dopo, al capitolo 38, si ribadisce la circostanza secondo cui la società convenuta si sarebbe avvalsa della collaborazione di Reti Televisive Italiane S.p.A., attenendosi anzi alle sue istruzioni in merito all’ambientazione del programma. I capitoli 39 e 40 riguardano altro. Nella parte in cui la prova testimoniale ha ad oggetto l’impiego da parte di Ruvido Produzioni S.r.l. di materiale proveniente dall’archivio audiovisivo di RTI Reti Televisive Italiane S.p.a., poi, occorre rilevare che la Corte d’appello ha per un verso osservato che l’attrice non aveva fornito la prova che i materiali utilizzati dalla convenuta per la messa in onda della puntata pilota fossero proprio quelli reperiti nell’archivio detto e per altro verso aggiunto che, in ogni caso, l’utilizzazione di tali materiali riguardava semmai l’acquisto dei diritti di utilizzazione delle immagini in essa contenuti, non già la paternità dell’opera reclamata dalla stessa attrice (pagine 6-7 della sentenza impugnata): ed è evidente che siffatto duplice argomento priva in radice di fondamento il motivo volto a lamentare sia la mancata ammissione della prova testimoniale, sia l’errato governo del materiale istruttorio raccolto e dei fatti non contestati, con particolare riguardo alla messa a disposizione di materiale concernente la vicenda di O.J. S.. 2.4. – Il quinto motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha escluso la configurabilità di responsabilità precontrattuale sul rilievo che l’interruzione delle trattative aveva trovato adeguata giustificazione nel disaccordo tra le parti in ordine alla paternità del format e della conseguente opera. A fronte di ciò la censura, sotto le vesti della denuncia di violazione di legge, mira evidentemente a rimettere in discussione, inammissibilmente, detto accertamento di merito, in violazione dei principi che si sono ricordati al p. 2.2.. 2.5. – Il sesto motivo è inammissibile, non potendosi rimettere in discussione, attraverso il motivo che precede, il motivato rigetto da parte della Corte d’appello della domanda di responsabilità precontrattuale. 2.6. – Il settimo motivo è inammissibile. In buona sostanza la ricorrente addebita a Ruvido Produzioni S.r.l. una condotta di concorrenza sleale per essersi subdolamente avvalsa della collaborazione di Reti Televisive Italiane S.p.A., sfruttata per realizzare poi un programma per la concorrenza. E tuttavia la Corte d’appello ha tra l’altro affermato non solo che gli apporti di Reti Televisive Italiane S.p.A. erano sostanzialmente insignificanti, ma anche essi non erano “stati effettivamente inseriti nella programmazione finale del format” (pagina 6 della sentenza impugnata): movendo da tale accertamento in fatto, insindacabile in questa sede, l’esistenza di una condotta di concorrenza sleale, nel senso prospettato, va evidentemente esclusa, giacchè è in sostanza escluso che Ruvido Produzioni S.r.l. si sia avvalsa in misura significativa dell’opera di Reti Televisive Italiane S.p.A.. 2.7. – L’ultimo motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha addebitato all’allora appellante, nel disattendere il motivo concernente la responsabilità extracontrattuale di Ruvido Produzioni S.r.l., che Reti Televisive Italiane S.p.A. non aveva provato i fatti costitutivi della domanda, quali il dolo o la colpa del preteso danneggiante e il nesso di causalità tra la condotta ed il danno. Non si tratta, come vorrebbe la ricorrente, di formalismi che non sono confacenti al nostro ordinamento, bensì dell’osservanza del principio dispositivo che sta alla base del processo civile: al contrario, la ricorrente, nel corso del motivo, non ha spiegato quali elementi avrebbero comprovato l’elemento soggettivo, quello oggettivo ed il nesso di causalità del preteso illecito aquiliano. Sicchè il motivo è inammissibile. 3. – In definitiva il ricorso va respinto. 4. – L’istanza ex art. 89 c.p.c. spiegata dalla controricorrente va disattesa. La frase di cui la convenuta si duole è la seguente: “La causa del contratto e/o rapporto… è stata mistificata nei due precedenti gradi giudiziali”. Questa Corte ha stabilito, sulla scia della costante lettura del’art. 89 c.p.c., che: “In tema di espressioni offensive o sconvenienti contenute negli scritti difensivi, non può essere disposta, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., la cancellazione delle parole che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte. Ne consegue che non possono essere qualificate offensive dell’altrui reputazione le parole (come, nella specie, la parola “contrabbandare”, che, significando “far passare qualcosa per ciò che non è”, si iscrive nella normale dialettica difensiva e, riferita ad una tesi della controparte, serve semplicemente a rafforzare l’assunto della scarsa attendibilità di tale tesi), che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell’esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell’avversario” (Cass. 18 ottobre 2016, n. 21031). Il ragionamento svolto nel precedente in ordine al verbo “contrabbandare” vale parimenti con riguardo a quello “mistificare”. 5. – Le spese seguono la soccombenza. 6. – Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M.rigetta il ricorso e l’istanza della controricorrente ai sensi dell’art. 89 c.p.c., condannando la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e quant’altro dovuto per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 1 febbraio 2017. Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2017
Configurabilità dell’opera di ingegno Cass. Sez. 1, n. 18633/2017
PQM