La qualifica di p.u. dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate
– Cassazione, Sez. V, n. 34912/2016 –
La Corte ha riconosciuto, nella sentenza Sez. 5, n. 34912 del 7 marzo 2016, Machì, Rv. 267831, la qualifica di pubblico ufficiale al dipendente dell’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che costui esplica la propria attività secondo norme di diritto pubblico, in particolare formando – o contribuendo a formare – e manifestando la volontà della P.A., attraverso l’esercizio di poteri autoritativi, o deliberativi o certificativi connessi alla gestione delle entrate erariali.
Gli atti emanati dall’Agenzia delle Entrate, infatti, a differenza di analoghi provvedimenti assunti da altre Agenzie non fiscali, rientrano tra quelli tipici dell’ordinamento statale, in quanto all’Agenzia delle Entrate è stato, per legge, affidato l’esercizio di una tipica e imprescindibile funzione statale, e cioè la gestione delle entrate tributarie erariali e dei servizi indicati dalla legge istitutiva (d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300). Nonostante l’autonomia organizzativa e funzionale di cui è dotata l’Agenzia delle Entrate, quindi, i suoi atti rientrano tra quelli tipici dell’ordinamento statale, con conseguente indiscussa configurabilità della sua natura pubblicistica.
Ai fini e per gli effetti di cui all’art. 357 cod. pen., pertanto, quella svolta dall’Agenzia delle Entrate è una pubblica funzione amministrativa, in quanto diretta a realizzare in via immediata le finalità essenziali all’esistenza ed al funzionamento dello Stato meglio precisate nelle norme di riferimento. Nel contempo, la sua complessa attività è disciplinata da norme di diritto pubblico ed è espressione della formazione della volontà della P.A., che manifesta attraverso la sua iniziativa istituzionale ed i suoi provvedimenti.
Il dipendente dell’Agenzia delle Entrate riveste la qualifica di pubblico ufficiale, in quanto esplica la sua attività secondo norme di diritto pubblico e forma – o contribuisce a formare – e manifesta la volontà della P.A., esercitando poteri autoritativi, o deliberativi o certificativi connessi alla gestione delle entrate erariali.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Palermo ha parzialmente riformato la decisione di condanna alla pena di giustizia resa in primo grado nei confronti dell’imputata M., di professione commercialista, dichiarando nlp per prescrizione per i delitti di truffa informatica e corruzione, entrambi in concorso con dipendente della Agenzia delle Entrate, rideterminando la pena per le imputazioni di cui all’art. 615 ter c.p., e art. 476 c.p., commi 1 e 2, in concorso con la medesima persona; epoca dei fatti da Maggio 2003 a Marzo 2005. Quanto al trattamento sanzionatorio la Corte ha ribadito la negatoria delle attenuanti generiche, ritenendo la pena adeguata alla gravità dei fatti.
2. Ha presentato ricorso la difesa, che, col primo motivo, ha lamentato la violazione di legge in relazione all’art. 615 ter c.p., e circa la ritenuta qualifica di pubblico ufficiale e di atto pubblico attribuita ai documento illecito di sgravio, nonchè vizio di motivazione.
2.1 Infatti, il coimputato, dipendente dell’Agenzia, era abilitato all’uso dei sistemi informatici, non aveva il potere di impegnare la PA, nè partecipava alla formazione della sua volontà ed il provvedimento di sgravio non presentava i requisiti dell’atto pubblico, considerando che non era stato emesso all’esito di un procedimento amministrativo accertativo, nè era stato annullato con procedura amministrativa; infine la Corte non aveva citato precedenti giurisprudenziali sul punto.
2.2 La motivazione, inoltre, sarebbe illogica per il giudizio di attendibilità del coimputato, che in incidente probatorio aveva negato di aver compiuto centinaia di illeciti analoghi mentre gli stessi erano stati accertati. La motivazione, infine, sarebbe carente per i casi dei clienti C. e New life bar, poichè essi non comparivano nel cosiddetto carrello fiscale dell’imputata mentre la sentenza li aveva considerati tra i destinatari degli illeciti esoneri fiscali.
3. Nel secondo motivo il deducente si è doluto della mancata concessione delle attenuanti generiche, per insufficienza di motivazione; la Corte non avrebbe tenuto nella giusta considerazione lo stato di incensuratezza dell’imputata, nè il reato appariva tale da escluderle, poichè i singoli provvedimenti di annullamento riguardavano importi non elevati.
La parte civile costituita Agenzia delle Entrate ha depositato memoria in cancelleria il 4 Marzo 2016, con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza il Pg dr.ssa Filippi ha concluso per il rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Deve in primis darsi atto che questa Corte, con pronuncia della sez. 5^ nr. 43729/2012, si è già pronunziata sulla sentenza a carico – tra gli altri – del coimputato della ricorrente, D.V.A., che per ragioni di chiarezza espositiva è riportata quanto alla sintesi dei complessi fatti oggetto dei processi di merito.
1.1 Da quel testo emerge che le condotte criminose contestate anche alla ricorrente erano state realizzate nell’ambito degli uffici dell’Agenzia delle Entrate di Palermo, dove più pubblici funzionari ivi in servizio, erano entrati illegittimamente nel sistema informatico dell’ufficio, al cui interno erano registrate te pendenze tributarie dei contribuenti, ed avevano proceduto, in mancanza di qualsivoglia condizione che legittimasse tale intervento, allo sgravio fiscale in favore di singoli contribuenti, sulla base di un preventivo accordo con i beneficiari, i quali, dunque, risultavano all’esito dell’illecita operazione, non più in debito con l’Erario. A titolo di ricompensa per il toro intervento, i funzionari infedeli avevano ricevuto dai contribuenti beneficiati dallo sgravio fiscale somme di denaro.
1.2 La commercialista M., secondo i Giudici di merito, aveva partecipato al sistema degli sgravi illeciti, essendo in rapporti per motivi professionali in special modo con il dipendente D.V., curando in tal modo illecito gli interessi di suoi clienti. In proposito le decisioni hanno valorizzato le dichiarazioni accusatorie del coimputato, già condannato irrevocabilmente per i medesimi fatti, che aveva accusato la ricorrente di partecipare agli illeciti, aggiungendo che la donna gli corrispondeva una percentuale dell’importo degli esoneri fiscali non dovuti, di cui beneficiavano i suoi clienti.
2. Passando all’esame dei motivi di ricorso e, quanto alla censura inerente la presunta violazione del’art. 615 ter c.p., va osservato che la tesi che il coimputato della ricorrente fosse abilitato all’ingresso nel sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate è smentita in fatto poichè la Corte ha evidenziato, con motivazione adeguata ed aderente agli atti, che gli sgravi fiscali erano stati eseguiti dalla postazione in uso proprio al coimputato D.V. ma che questi aveva usato passwords di acceso carpite ad ignari colleghi, emergendo, altresì, dalla decisione di primo grado che l’uomo, pur in possesso di credenziali di acceso al sistema AT, non era abilitato alla funzione relativa alla riscossione dei tributi; inoltre il teste qualificato dell’amministrazione finanziaria, D.M., aveva chiarito che le procedure oggetto del processo erano tutte formalmente illegali e forzate e che le relative posizioni fiscali non avevano diritto alla dispensa.
2.1 In ogni caso va ricordata la sentenza delle Sezioni Unite, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale: “integra il delitto previsto dall’art. 615 ter c.p., colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto, violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema” (cfr. Cass., sez. un., 27.10.2011, n. 4694, C. e altro, rv. 251269). Con la decisione ora menzionata, infatti, le Sezioni Unite hanno voluto evidenziare l’estraneità all’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 615 ter c.p., delle ragioni che hanno spinto ad accedere ed a trattenersi nel sistema protetto il soggetto agente, il quale non può ritenersi autorizzato ad accedervi ed a permanervi “sia allorquando violi i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema (nozione specificata con riferimento alla violazione delle prescrizioni contenute in disposizioni organizzative interne, in prassi aziendali o in clausole di contratti individuali di lavoro), sia allorquando ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle di cui egli è incaricato ed in relazione alle quali l’accesso era a lui consentito”.
2.2 Nella fattispecie concreta la questione sollevata in ricorso circa l’abilitazione del coimputato ai sistemi informatici, già smentita in fatto sarebbe, altresì, da risolvere negativamente per le ragioni di diritto esplicitate nella citata sentenza, atteso che costui sicuramente violò le disposizione inerenti la competenza interna ad accedere ai dati fiscali dei contribuenti per verificare l’esistenza e l’origine del credito erariale ed in seguito per introdursi nella funzione relativa alla riscossione dei tributi, modificare irregolarmente l’esito dei controlli e proseguire con le anomale procedure di sgravio.
3.Occorre ora soffermarsi sulle questioni della qualità di pubblico ufficiale del dipendente dell’Agenzia delle Entrate e sulla natura di atto pubblico fidefacente ai sensi dell’art. 476 c.p., commi 1 e 2, del provvedimento cartaceo di cosiddetto sgravio fiscale, cui si riferisce l’imputazione sub 15), pure sollevate col primo motivo di ricorso.
3.1 In proposito va ricordato il principio stabilito da Sez. 2, Sentenza n. 47696 dei 16/10/2014 Ud. (dep. 19/11/2014) Rv. 260831 In tema di truffa, ricorre l’aggravante di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 1, qualora il fatto sia commesso in danno della Agenzia delle Entrate, i cui atti relativi alla gestione dei tributi erariali, a differenza delle agenzie non fiscali, rientrano tra quelli tipici dell’ordinamento statale, con conseguente configurazione pubblicistica dell’ente. Nella motivazione della citata decisione è sviluppata una ricognizione normativa riguardante l’Agenzia in parola, che appare utile riportare. Infatti, il testo del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, all’art. 57, prevede l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate: “Per la gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti delle entrate, delle dogane, del territorio e di quelle connesse svolte da altri uffici del ministero sono istituite l’agenzia delle entrate, l’agenzia delle dogane, l’agenzia del territorio e l’agenzia del demanio, di seguito denominate agenzie fiscali”. Con tale trasformazione, si è inteso attribuire alle Agenzie fiscali – tenute a ispirare il loro operato ai principi di legalità, imparzialità e trasparenza, con criteri di efficienza, economicità ed efficacia personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria.
Riguardo alle finalità istituzionali dell’Agenzia delle entrate l’art. 2, dello Statuto, sotto il titolo “Fini istituzionali” recita:
“1. L’Agenzia svolge tutte le funzioni ed i compiti ad essa attribuiti dalla legge in materia di entrate tributarie e diritti erariali, al fine di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali. A tal fine l’Agenzia assicura e sviluppa l’assistenza ai contribuenti, il miglioramento delle relazioni con i contribuenti, i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale, nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia.
2. L’Agenzia assicura, in materia di entrate tributarie erariali, i servizi relativi all’amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti, dell’imposta sul valore aggiunto e di tutte le imposte, diritti o entrate erariali già di competenza del Dipartimento delle Entrate…. 3. L’Agenzia assicura il supporto alle attività del Ministero dell’Economia e delle Finanze e la collaborazione con le altre Agenzie fiscali e con gli altri enti o organi che comunque esercitano funzioni in settori della fiscalità di competenza statale”.
Riguardo alle attribuzioni l’art. 4 dello statuto intitolato “Attribuzioni” riporta, per quanto qui di interesse:
“1. L’Agenzia, nel perseguimento della propria missione e dei propri scopi istituzionali, esercita, ìn particolare, le seguenti funzioni ed attribuzioni: a)assistenza ai contribuenti, assicurando l’informazione, semplificando gli adempimenti, riducendo gli oneri e fornendo servizi di consulenza ai contribuenti e agli altri enti interessati dal sistema della fiscalità; b) riscossione dei tributi, assicurando la gestione dell’archivio delle dichiarazioni, le operazioni di riscossione, il controllo sull’operato dei concessionari e degli intermediari, i rimborsi ai contribuenti, il controllo sulla regolarità e tempestività della messa a disposizione delle risorse finanziarie acquisite per l’erario e gli altri enti impositori;
c) contrasto dell’evasione fiscale, assicurando le attività di controllo e di verifica, il controllo sui concessionari e sugli intermediari;
d) gestione dei servizi relativi ai giochi…;
e) gestione del contenzioso, assicurando la tutela degli interessi erariali nelle diverse sedi giudiziarie, anche favorendo il ricorso agli strumenti di conciliazione; f)…; g)… 2. Nell’esercizio delle proprie funzioni ed attribuzioni, l’Agenzia determina regole di condotta per gli uffici e per i contribuenti, assicurando la massima efficienza dell’attività degli uffici e la minima onerosità per i contribuenti, la qualità del servizio di assistenza, l’efficacia e l’adeguatezza delle azioni mirate a contrastare l’evasione, anche sulla base dello sviluppo degli strumenti valutativi e conoscitivi”.
3.2 Su questi presupposti normativi, non sembra che possano sussistere dubbi sul fatto che gli atti emanati dall’Agenzia delle Entrate, a differenza di analoghi provvedimenti di altre agenzie non fiscali, rientrano tra quelli tipici dell’ordinamento statale in quanto all’Agenzia è stato affidato, per legge, l’esercizio di una tipica e imprescindibile funzione statale, cioè, la gestione delle entrate tributarie erariali e dei servizi indicati dalla legge istitutiva di cui sopra.
3.3 Del resto la Corte costituzionale con due importanti pronunce, nn. 72 e 73 del 2005, nell’ambito di un conflitto di attribuzioni con organi regionali operanti nello stesso settore, ha ritenuto ammissibile il conflitto di attribuzione in relazione ad atti dell’Agenzia delle Entrate, sul presupposto della sostanziale riconducibilità di tale ente nell’ambito dell’amministrazione dello Stato. Ciò in quanto il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 11) aveva affidato all’Agenzia delle Entrate la gestione dell’esercizio delle tipiche funzioni statali concernenti le entrate tributarie erariali prima attribuite al dipartimento delle Entrate del ministero delle Finanze e agli uffici connessi e, in particolare, aveva assegnato a tale ente la cura del fondamentale interesse statale al perseguimento del massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali (art. 57, comma 1, primo periodo; art. 61, comma 3; art. 62, commi 1 e 2).
3.4 Da quanto precede, non può che concludersi riconoscendo che, nonostante l’autonomia organizzativa e funzionale di cui è dotata l’Agenzia delle Entrate, i suoi atti, a differenza delle altre agenzie non fiscali, rientrano tra quelli tipici dell’ordinamento statale, con conseguente indiscussa configurabilità pubblicistica.
3.5 In base a tale premessa risulta chiaro che ai fini e per gli effetti di cui all’art. 357 c.p., quella svolta dalla Agenzia delle Entrate è una pubblica funzione amministrativa, in quanto diretta a realizzare in via immediata le finalità essenziali all’esistenza ed al funzionamento dello Stato meglio precisate nelle norme di riferimento. Nel contempo la sua complessa attività è disciplinata da norme di diritto pubblico ed è espressione della formazione della volontà della PA, che manifesta attraverso la sua iniziativa istituzionale ed i suoi provvedimenti.
3.6 Per quanto attiene alla qualifica di pubblico ufficiale del dipendente di tale Ente ai sensi dell’art. 357 c.p., deve rammentarsi la costante giurisprudenza di questa Corte, anche nella sua composizione più autorevole, secondo la quale le coordinate da tenere presente nell’attribuire la qualità di pubblico ufficiale ad un soggetto sono: a) lo svolgimento della sua attività secondo norme di diritto pubblico, distinguendosi poi la pubblica funzione, in cui sono esercitati i poteri tipici della potestà amministrativa, dal pubblico servizio, in cui tali poteri sono assenti (Cass. SU n. 10086 del 1998); b) la possibilità o il dovere di formare e manifestare la volontà della Pubblica amministrazione, oppure esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente considerati (Cass. SU n.7958 del 1992); c) la considerazione, da parte dell’interprete, dei caratteri propri dell’attività in concreto esercitata e non tanto del rapporto di dipendenza tra il soggetto e la P.A. (ex multis: Cass. sez 6 sent 6980 del 1995; Sez. 5 sent. 46310 del 2008; Sez. 5 sent. 39377 del 2013 Rv 256943).
3.7 Alla luce della ricognizione normativa precedente circa l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate – confermata dalla giurisprudenza costituzionale citata – per la quale le sue attività rientrano tra quelle tipiche dell’ordinamento statale, con conseguente indiscussa sua configurazione pubblicistica, e tenendo nel dovuto conto la solida elaborazione della giurisprudenza di legittimità, stratificatasi negli anni, riguardante la nozione di pubblico ufficiale, deve concludersi che il funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che di regola esplica la sua attività secondo norme di diritto pubblico e forma o contribuisce a formare e manifesta la volontà della Pubblica amministrazione, esercitando poteri autoritativi o deliberativi o certificativi, ricopre la veste di pubblico ufficiale.
4. Per meglio risolvere la questione, pure sottesa al ricorso, circa la natura di atto fidefacente del provvedimento di sgravio occorre illustrare il meccanismo illecito creato dagli imputati allo scopo di cancellare fraudolentemente l’esistenza del rapporto debitorio nei confronti dell’Erario, per come ricostruito dalla sentenza del Tribunale di Palermo nei confronti del coimputato D.V.: “lo sgravio fiscale è, dunque, un provvedimento amministrativo motivato con il quale l’Ufficio Tributario competente elimina, in tutto o in parte, un credito erariale vantato neì confronti del contribuente e già iscritto ai ruoli per la riscossione. L’adozione di detto provvedimento avviene sia in via informatica che sotto forma di documento cartaceo scritto e comporta la cancellazione del credito erariale. Lo sgravio elaborato in via informatica dagli operatori viene, in primo luogo, inviato, attraverso un flusso telematico, al concessionario per la riscossione dei tributi, il quale, conseguentemente, cancella il credito in questione dai suoi elenchi e blocca la procedura di riscossione coattiva. Successivamente viene emesso un provvedimento scritto di sgravio in doppio originale, una copia del quale, sottoscritta dal funzionario responsabile del procedimento, viene rilasciata al contribuente e l’altra rimane agli atti dell’Ufficio Tributario. Un provvedimento di sgravio per essere legittimo deve essere adottato esclusivamente dai funzionari autorizzati dal capo dell’ufficio allo svolgimento proprio di tale specifica attività ed a mezzo della password personale a costoro rilasciata. Deve, inoltre, prevedere la presentazione di documenti giustificativi da parte del contribuente istante, l’esame delle motivazioni addotte da parte del funzionario responsabile della pratica ed, infine, l’adozione di un provvedimento amministrativo motivato e sottoscritto” (cfr. pagg. 4-5 della sentenza di primo grado nei confronti del coimputato).
4.1 Nello specifico emerge dalle sentenze del merito che D.V. – coimputato di M. – e G., altro dipendente corrotto, procedevano, per loro stessa ammissione, “al confezionamento della falsa versione cartacea del provvedimento di sgravio, che veniva rilasciata ai contribuenti interessati”, munita di sigilli, timbri e firme fittizie (cfr. pagg. 12-16 della sentenza di primo grado). Deve, altresì, precisarsi che alla ricorrente è stato mosso l’addebito di aver istigato D.V. a formare più atti pubblici falsi, meglio precisati in imputazione come le versioni cartacee dei provvedimenti informatici di sgravio fiscale, mediante apposizione della sigla apocrifa del Dirigente dell’Ufficio.
4.2 Quanto alla natura di atto pubblico di tali provvedimenti deve ricordarsi l’antico ma consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il possibile contenuto dell’atto pubblico può essere diretto a documentare attività compiute dal pubblico ufficiale o comunque da lui percepite; sotto un secondo profilo, verificabile in via congiuntiva o anche solo alternativa al precedente, l’atto pubblico contemplato dagli artt. 476 e 479 c.p., è quello caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi,dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica (Cass. SU n 10929/81; conformi Cass. 5 n 10149 del 1984; Cass. 17 Giugno 1987, Iorio).
4.3 Alla luce di tali principi appare chiaro che il provvedimento di sgravio – di regola legittimamente emanato dal funzionario dell’Agenzia delle Entrate a ciò deputato dalle disposizioni organizzative interne – comprova l’attività di esame dei documenti e delle motivazioni addotte dal contribuente svolta dal funzionario responsabile della pratica,esprime la sua valutazione tecnica ed è costitutivo del consistente effetto estintivo del debito erariale nei confronti del contribuente, e, pertanto, è inquadrabile a pieno titolo categoria degli atti pubblici.
4.4 Tale qualificazione deve essere confermata anche tenendo conto delle attuali forme di organizzazione degli Enti pubblici, dotati – come nella fattispecie in esame – di sistemi di funzionamento ed archivi informatici. Così Sez. 6, Sentenza n. 7752 del 16/01/2009 Cc. (dep. 23/02/2009) Rv. 243531 “Integra la condotta di falsità materiale in atto pubblico la falsificazione di atti contenuti nei supporti del sistema informatico di un ente pubblico, anche quando gli stessi siano documentati in forma cartacea. (Nella specie, era stato alterato nel sistema informatico di un ospedale il contenuto di un referto medico).
4.5 Quanto alla natura fidefaciente del documento di sgravio ai sensi dell’art. 476 c.p., comma 2, deve ribadirsene la funzione certificativa circa le attività di esame e valutazione svolte dal funzionario pubblico, appartenenti alla sua sfera di attribuzioni e competenze attestate nel provvedimento e citare la recentissima decisione di questa Corte, condivisa dal Collegio, che inserendosi in un solco giurisprudenziale già da tempo tracciato circa la natura di atto pubblico fidefacente ai sensi dell’art. 476 c.p., comma 2, (Sez. 6, Sentenza n. 25258 del 12/03/2015 Ud. dep. 16/06/2015 Rv. 263806) – ed occupandosi di un caso analogo, lo ha qualificato espressamente atto pubblico di fede privilegiata. Così Sez. 5, Sentenza n. 8358 del 05/02/2016 Ud. (dep. 01/03/2016) Rv. 266068: In tema di falso materiale in atto pubblico commesso dal privato ed aggravato ex art. 476 c.p., comma 2, sono documenti dotati di fede privilegiata solo quelli che, emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall’ordinamento interno della P.A. ad attribuire all’atto pubblica fede, attestino quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza, ovvero quanto da lui attestato ìn relazione a constatazioni o accertamenti che era in sua facoltà e nella sua discrezionalità eseguire. (Fattispecie relativa a documento di sgravio fiscale, attestante il fatto che il debito del contribuente verso l’Erario era inferiore alla somma iscritta a ruolo).
5. Per gli altri due profili di doglianza del primo motivo va osservato che, quanto alla dedotta inattendibilità del coimputato la decisione impugnata ne ha ritenuto l’affidabilità tramite il richiamo alla condanna in via definitiva dello stesso per i reati perpetrati in concorso con la ricorrente, ai giudizi di credibilità espressi nelle sentenze di merito che lo hanno riguardato ed al vaglio critico già operato sulle sua attendibilità dei Giudici che già si erano pronunziati. La stessa sentenza impugnata ha ripercorso le propalazioni accusatorie di D.V. nei confronti di M., valorizzandone la precisione, ed ha correttamente fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputata anche sui chiari riscontri ad esse; ha – tra l’altro – puntualizzato, in tal senso, che le pratiche oggetto degli illeciti risultavano inviate informaticamente dall’imputata stessa e dal suo studio professionale, confutando, altresì, la tesi difensiva secondo la quale la ricorrente aveva presentato regolarmente le pratiche, tramite la sottolineatura che si trattava di una mera affermazione rimasta priva di ogni riscontro documentale.
5.1 A fronte di tale congrua e pienamente logica motivazione la doglianza difensiva dell’ipotizzata inattendibilità di D.V. a causa della negatoria di responsabilità su casi illeciti analoghi pure oggetto del processo, al contrario accertati, risulta generica, non avendo indicato quali fossero stati i casi citati, nè per quali ragioni l’eventuale mancata assunzione di responsabilità possa aver inciso sulla sua credibilità. L’aspecificità dell’osservazione difensiva si rileva anche sotto il profilo del mancato confronto con l’articolata ed esauriente motivazione della sentenza d’Appello, rispetto alle cui argomentazioni nulla ha espresso il ricorso.
5.2 La prospettata carenza motivazionale inerente le due pratiche C. e New life bar implica una richiesta di diverso apprezzamento probatorio della decisione di merito dei Giudici palermitani. Sul punto risulta più che adeguata ed esauriente l’esposizione dell’iter logico argomentativo, nell’ambito del quale sono state richiamate le lunghissime precisazioni della prima sentenza ed è stato posto in luce che, in un caso, la diretta interessata aveva rappresentato all’Ufficio finanziario, dopo aver ottenuto il beneficio, di aver fatto seguire la sua pratica dall’imputata e, nel secondo, che un dirigente dell’amministrazione ne aveva rilevato l’abusività, residuandone in ogni caso una traccia telematica negli archivi informatici.
I suddetti profili di ricorso sono, pertanto, inammissibili.
6. Quanto alla doglianza circa la carenza di motivazione riguardo alla negatoria delle generiche anch’essa risulta generica, nel senso che non ha tenuto in alcun conto l’ampia ed esauriente motivazione stesa sul punto dalla sentenza d’Appello. I Giudici hanno premesso che le attenuanti non costituiscono un diritto o un’aspettativa generalizzata in capo ad imputati incensurati – e ciò in linea con la norma di cui all’art. 62 bis c.p., comma 3 – ed hanno ben chiarito le ragioni che, nel caso concreto hanno indotto alla conferma della prima sentenza, evidenziando, in particolare, il ruolo di istigatrice alla corruzione dell’imputata, il danno arrecato ai beni/interessi della trasparenza e del buon andamento della PA tutelati dalla disposizioni incriminanti applicate ed i vantaggi conseguiti dagli illeciti.
6.1 Il ragionamento discrezionale risulta, in tal modo, estrinsecato in una motivazione idonea a far emergere chiaramente il pensiero del Giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo e non è censurabile in sede di legittimità. Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2016