Irragionevole durata del processo e legittimazione attiva del debitore

– Cassazione, n.89/2016 –

Pervenendo a conclusioni opposte a quelle affermate per la parte rimasta contumace nel processo di cognizione, Sez. 6-2, n. 00089/2016, Manna, Rv. 638571, ha chiarito che il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicché egli è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica.

Il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicché egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica.

IN FATTO

Con decreto del 20.8.2013 la Corte d’appello di Campobasso rigettava la domanda proposta da B.M. per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, per la durata irragionevole di un processo di esecuzione immobiliare, instaurato a suo carico il 20.7.1992 ed ancora pendente alla data (14.5.2012) di proposizione del ricorso.

A base della decisione, la circostanza che la ricorrente, quale debitrice esecutata, non si era costituita nel processo esecutivo, e che ella, comproprietaria dei ben 15 immobili pignorati, non solo non aveva alcun interesse ad un rapido svolgimento della procedura espropriativa, ma anzi si era avvantaggiata del protrarsi di questa avendo mantenuto il possesso (sia pure sine corpore) dei beni pignorati.

Per la cassazione di tale decreto B.M. ricorre in base a due motivi.

Il Ministero della Giustizia ha depositato un atto di “costituzione”, in vista della discussione orale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e successive modificazioni. Invoca a proprio favore il principio di diritto espresso dalle S.U. di questa Corte Suprema con sentenza n. 585/14, secondo cui anche la parte contumace ha diritto alla conclusione del processo in tempi ragionevoli, risentendo del normale disagio psicologico conseguente al ritardo nella definizione della pendenza.

1.1. – Il motivo è infondato, anche se per una ragione diversa rispetto a quella esposta nella motivazione del decreto impugnato, che va pertanto corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Infatti, costituzione e contumacia implicano la pienezza della posizione di parte e la possibilità di operare la correlata scelta defensionale nell’ambito di un processo dichiarativo. Nel processo di esecuzione, invece, il debitore non è parte nel senso pieno del termine poichè non dispone di pari poteri processuali, essendo tale processo preordinato unicamente al soddisfacimento dell’interesse del creditore. E’ solo nelle eventuali fasi d’opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., che il debitore recupera la posizione di parte, atteso che la funzione delle opposizioni esecutive è proprio quella di stabilire un separato ambito cognitivo nel quale l’esecutato possa svolgere (in conformità al precetto dell’art. 111 Cost., comma 2, ricognitivo di principi già esistenti nel sistema processuale) contraddittorio e difesa tecnica, diversamente incompatibili con il potere coattivo del creditore.

E’ dunque de tutto inapplicabile al caso di specie l’invocato precedente delle S.U. di questa Corte, che presuppone il giudizio dichiarativo e non già quello d’esecuzione.

2. – Il secondo motivo lamenta il vizio di contraddittorietà della motivazione “tra la non configurabilità del danno indennizzabile ed il vantaggio derivato dal protrarsi della procedura esecutiva”.

Sostiene parte ricorrente che proprio in quanto debitrice esecutata, la B. “è stata costretta a subire, proprio con i patimenti d’animo richiamati dalla Legge Pinto e dalla Convenzione europea, le lungaggini della procedura, alla quale ha comunque partecipato quale destinataria di notificazioni di biglietti di cancelleria, di sopralluogo di c.t.u. e di pubblicità degli avvisi di vendita”.

2.1. – Anche tale motivo non ha pregio.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poichè egli dall’esito del processo riceve un danno giusto. Pertanto, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, l’esecutato ha l’onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzarle residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente (Cass. n. 14382/15).

Nello specifico, l’incomodo di aver dovuto ricevere gli avvisi del processo di esecuzione e subire gli accessi dell’esperto incaricato della stima dell’immobile pignorato, non costituisce un danno diverso da (o ulteriore rispetto a) quello che il debitore esecutato è tenuto a subire ai fini dell’espropriazione. Dolersene, in assenza di qualsivoglia connessione causale con la durata del processo, equivale a lamentare di essere stati assoggettati all’esecuzione stessa.

3. – Conclusivamente, il ricorso va respinto.

4. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero della Giustizia svolto un’attività di difesa effettiva e conforme alle norme del processo di cassazione.

5. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2016