Cessione del credito ed interessi scaduti
Cass. Civile Sez. 1, n. 02978/2016
In tema di cessione del credito, la previsione del comma 1 dell’art. 1263 c.c., secondo cui il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli “altri accessori”, va intesa nel senso che nell’oggetto della cessione è ricompresa la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, ossia ogni situazione direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, rientrandovi, dunque, anche gli interessi scaduti dopo la cessione (e non, salvo patto contrario, quelli scaduti prima), alle condizioni e nella misura in cui, secondo la legge, essi erano dovuti al creditore cedente, sicché solo ove fossero stati concordati, per iscritto in base all’art. 1284, comma 3, c.c., in misura extralegale, in tale misura sono dovuti al cessionario anche per il periodo di mora ex art. 1224, comma 1, c.c., mentre, in difetto di tale pattuizione tra le parti originarie del rapporto obbligatorio, gli stessi spetteranno al tasso legale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato nel luglio 1994 il Curatore del fallimento della Hospital Service S.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo la Artificial Kidney Center S.r.l. (d’ora in avanti AKC) e L.A., deducendo che la società fallita era creditrice della AKC di L. 5.834.731 per forniture e di L. 106.694.611 per residuo finanziamento, nonchè nei confronti del L. della somma di L. 276.828.000 per un prestito erogato, a fronte del quale il L. aveva ceduto pro soluto un credito di importo maggiore da lui vantato nei confronti della AKC. La Curatela chiedeva quindi la condanna della AKC al pagamento delle somme di L. 106.694.611 e di L. 5.834.731, nonchè la condanna di entrambi i convenuti in solido al pagamento dell’altra somma di L. 276.828.000.
Costituendosi in giudizio la AKC chiedeva il rigetto della domanda deducendo l’inesistenza dei crediti ex ad verso vantati; il L. restava contumace.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 17 febbraio 1998, condannava la AKC al pagamento della somma di L. 106.694.611 oltre interessi legali e rigettava le altre domande.
Avverso la predetta sentenza interponeva appello la Hospital Service, resistito dalla AKC anche con appello incidentale e da L. A., cui in corso di causa subentravano i suoi eredi L. L., M.C. e A. e R.D..
La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 21 giugno 2001, in riforma della decisione di primo grado, condannava la AKC al pagamento della somma di L. 276.828.000, oltre interessi al tasso del 16% dal 1 gennaio 1995 al saldo e rigettava le altre domande.
La AKC proponeva ricorso per cassazione, cui resistevano il curatore del fallimento Hospital Service s.r.l. con controricorso e ricorso incidentale, nonchè con controricorso gli eredi di L. A.. Questa Corte, con sentenza n. 265 dell’11 gennaio 2006, accoglieva per quanto di ragione il ricorso principale – ritenendo assorbito l’incidentale della Curatela relativo al rigetto delle altre domande – con riguardo alla omessa motivazione della ritenuta esistenza del credito nei confronti della AKC ceduto dal L. alla Hospital Service; e disponeva quindi il rinvio innanzi ad altra sezione della corte palermitana.
In esito al giudizio di rinvio la Corte di appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo, condannava la AKC al pagamento in favore del Fallimento Hospital Service s.r.l. della somma di Euro 91.017,95 (pari a L. 176.235.328 che accertava pagate dal L. alla Sicilcassa per un debito di AKC), oltre interessi al tasso convenzionale del 16% annuo (pattuito dalla Hospital Service con il L. in sede di concessione del finanziamento al medesimo) a decorrere dal 1 gennaio 1995 sino al saldo. Rigettava le altre domande, condannando il fallimento alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza, depositata il, la AKC ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono con controricorso gli eredi L. nonchè la Curatela del Fallimento Hospital Service s.r.l., che ha anche proposto ricorso incidentale, cui a sua volta resiste con controricorso AKC. Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
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1. Il ricorso principale è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo si deduce sia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, sia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 384 c.p.c., comma 2. Sostiene la ricorrente, quanto al vizio di omessa motivazione, che la Corte d’appello si sarebbe limitata a una mera enunciazione del contenuto della documentazione acquisita durante il giudizio di primo grado, senza una logica e coerente argomentazione che indichi le ragioni del loro significato: ciò che non potrebbe far ritenere assolto l’onere motivazionale. Formula altresì i seguenti quesiti di diritto: a)”…costituisce violazione del precetto di cui all’art. 116 c.p.c., ritenere che la mancata prova del contrario da parte del convenuto costituisca argomento dimostrativo della fondatezza della domanda attrice”; b)”.. quando nella sentenza di rinvio la Suprema Corte statuisce che va data dimostrazione della sussistenza di un fatto, viola l’art. 384 c.p.c., la decisione che afferma la sussistenza del dato senza dimostrarlo”.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso AKC censura, sorto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 1263 c.c. e sotto quello del vizio di motivazione, la condanna nei propri confronti a corrispondere al Fallimento della cessionaria Hospital Service un tasso di interesse convenzionale nella misura del 16% annuo.
Sostiene, quanto al vizio di motivazione, che di una pattuizione di tale tasso tra essa debitrice ceduta ed i cedente L. non vi sarebbe alcuna prova in atti, facendo riferimento la sentenza impugnata alla sola pattuizione intercorsa tra Hospital Service e L.. Formula altresì il seguente quesito di diritto: “Affermi la Corte il principio che gli accessori che seguono il credito ceduto sono quelli eventualmente connessi allo stesso credilo, e le pattuizioni fra il debitore cedente e quello cessionario non valgono a modificare gli obblighi gravanti sul debitore ceduto”.
2. Il primo motivo è inammissibile. Si impone infatti nella specie l’applicazione dell’art. 366 bis c.p.c., trattandosi di impugnazione avverso provvedimento depositato il 28 aprile 2009 e quindi nel periodo di vigenza della norma. Secondo la quale l’illustrazione di ciascun motivo, nei casi di denuncia dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. da 1 a 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali che per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame; e, ove si denunci anche l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, l’illustrazione della doglianza deve essere corredata dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve cioè contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.
Nel caso in esame, l’illustrazione della denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, risulta priva di un momento di sintesi avente le suddette caratteristiche, atteso che l’espressione riassuntiva sopra riportata, contenuta nella illustrazione del motivo (pag. 12), pur prescindendo dalla collocazione e dalla assenza di una espressa indicazione funzionale, si risolve nella generica postulazione del vizio priva di ulteriori indicazioni sui fatti controversi in relazione ai quali la motivazione sarebbe omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali essa sarebbe insufficiente a giustificare la decisione. Ed anche il motivo di violazione di norme di diritto risulta corredato da quesiti di diritto, sopra trascritti, del tutto inidonei in quanto non conformi alle prescrizioni suddette, esaurendosi nella formulazione di assunti generici, privi di collegamento con le ratio decidendi esposte nella sentenza impugnata.
3. Il secondo motivo è fondato.
A norma dell’art. 1263 c.c., comma 1, per effetto della cessione il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli altri accessori: tale previsione va intesa – per consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 13/2012) – nel senso che nell’oggetto della cessione rientra la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione. Vi rientrano dunque anche gli interessi scaduti dopo la cessione (non, salvo patto contrario, quelli scaduti prima), alle condizioni e nella misura in cui, secondo la legge, essi sono dovuti al creditore cedente: se, quindi, con quest’ultimo il debitore ceduto aveva pattuito (per iscritto: art. 1284 c.c., comma 3) interessi in misura superiore a quella legale, nella stessa misura gli interessi saranno dovuti al cessionario, anche per il periodo di mora (art. 1224 c.c., comma 1); in difetto di tale pattuizione tra le parti originarie del rapporto obbligatorio, gli interessi saranno dovuti nella misura legale.
Nel caso in esame, dalla sentenza impugnata non risulta che tra la debitrice ceduta AKC ed il L., creditore cedente, fosse intervenuta alcuna pattuizione avente ad oggetto la misura degli interessi, nè che un tale accordo sia stato allegato dalle parti nel presente giudizio (non vi è traccia al riguardo neppure nei controricorsi depositati in questa sede). Risulta, piuttosto, che gli interessi convenzionali siano stati pattuiti tra il cedente L. e la cessionaria Hospital Service per la restituzione della somma finanziata da quest’ultima, ma è evidente che la debitrice ceduta AKC è estranea a tale accordo, cui non può conseguire l’effetto di ampliare il contenuto del credito ceduto, come definito sopra alla luce del disposto della norma di legge richiamata. Ne deriva che erroneamente la sentenza impugnata ha posto a carico della debitrice ceduta interessi convenzionali relativi al debito su di essa gravante, che con la cessione è stato trasferito alla Hospital Service con i soli interessi legali. La cassazione sul punto della sentenza di merito si impone dunque.
4. Con il ricorso incidentale la Curatela si duole del mancato accoglimento del ricorso incidentale da essa proposto nel primo giudizio di cassazione, ritenuto assorbito nella sentenza di questa Corte del 2006 e ribadito in sede di rinvio, avente ad oggetto le sue domande di revocatoria del pagamento di una somma e di condanna della società convenuta al pagamento di un residuo debito cambiario. Il ricorso si palesa tuttavia inammissibile, sia perchè corredato, ex art. 366 bis c.p.c., da quesiti di diritto del tutto inidonei alla luce delle regole sopra enunciate (“…enunciare il principio secondo cui la liberalità deliberata dal creditore entro l’anno dal sopravvenuto fallimento va revocata ai sensi della L. Fall., art. 64”; “…va enunciato il principio secondo cui l”obbligazione del pagamento del debito costituito da effetti cambiari ha scadenza con la data contenuta nel titolo. Conseguentemente il decorso del tempo costituisce certamente inadempimento con conseguente facoltà per il creditore di pretendere il pagamento: art. 1183 c.c.”), sia perchè la breve illustrazione dei motivi risulta priva di riferimento alcuno ai vizi che si intendono denunciare, in violazione della regola enunciata dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
5. La sentenza impugnata è dunque cassata in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può decidersi nel merito, con la condanna della AKC s.r.l. al pagamento in favore del Fallimento della Hospital Service s.r.l. della somma (non controversa) di Euro 91.017.95 oltre interessi nella misura legale dalla domanda (23.7.1994) sino al saldo.
6. Quanto al nuovo regolamento delle spese dell’intero giudizio, reso necessario ex art. 336 c.p.c., dalla cassazione della sentenza di appello, ritiene il Collegio giustificata la compensazione integrale tra le parti delle spese di lite, considerando (oltre alla parziale soccombenza reciproca in questa sede) come la articolata vicenda giudiziale oggi definita trovi causa nella complessità degli accertamenti di fatto che ne hanno costituito oggetto, complessità ascrivibile alla condotta delle stesse parti.
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PQM
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna la Artificial Kidney Center s.r.l. al pagamento in favore del Fallimento della Hospital Service s.r.l.della somma di Euro 91.017,95 oltre interessi nella misura legale dal 23.7.1994 sino al saldo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2016