Misure cautelari e concretezza ed attualità del pericolo.
Cass. Penale – Sez. 3, n. 11372/2015
In tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, l’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, introdotta dalla legge 16 aprile 25, n. 47 nel testo dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., impone la dimostrazione, in termini quantomeno di elevata probabilità, della immediata, o comunque cronologicamente vicina, sussistenza delle condizioni necessarie affinché si presenti l’occasione di commettere l’illecito.
RITENUTO IN FATTO:
Con un’ampia ed articolata ordinanza, datata 16 luglio 2015, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame ha confermato il provvedimento con il quale il locale Gip aveva disposto, il precedente 25 giugno 2015, la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti, per quanto ora interessa, di L.A. e L.F. nonchè nei confronti di D.S.E., Le.Ma., B.L. e R.T., mentre, in parziale riforma del predetto provvedimento cautelare, aveva sostituito la misura della custodia in carcere disposta nei confronti di C.E., con quella degli arresti domiciliari presso la sua abitazione, con la applicazione, se disponibili, di mezzi elettronici di controllo del rispetto della misura stessa.
Il Tribunale del riesame ha, infatti, ritenuto, alla luce degli elementi istruttori in atti – costituiti per lo più, ma non esclusivamente, dalle risultanze di intercettazioni telefoniche ed ambientali, autorizzate peraltro nell’ambito di un diverso procedimento giudiziario anch’esso ancora in fase di indagini preliminari – che i ricordati indagati risulterebbero essere onerati da gravi indizi di colpevolezza in merito alla loro partecipazione ad un articolato sodalizio criminoso, capeggiato dai fratelli L., volto al traffico di stupefacenti, sia di tipo pesante che di tipo leggero, in particolare in diverse zone della periferia romana; nello svolgimento di tale attività tutti gli indagati, sia pure in diverse circostanze, si sarebbero, altresì, macchiati di numerosi altri reati, molti dei quali fisiologicamente strumentali al conseguimento dello scopo del sodalizio criminoso, in quanto consistenti in episodi di detenzione e spaccio di stupefacenti, altri invece, pur facenti parte del programma criminoso, tipologicamente estranei agli illeciti in materia di droga, in quanto aventi ad oggetto delle estorsioni, il porto e la detenzione di armi e, persino, un tentativo di omicidio.
Ha osserva il Tribunale, quanto alla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dei prevenuti che gli stessi sarebbero desumibili, come detto, dalla ampia messe delle intercettazioni acquisite agli atti, dalle quali sarebbe evincibile l’esistenza sia della struttura associativa sia del programma criminoso da questa perseguito, sia dagli atti di indagine svolti dalla pg nonchè dalle dichiarazioni accusatorie e dai riconoscimenti fotografici operati da taluni soggetti sentiti a sommarie informazioni.
Quanto alle esigenze cautelari, esse sarebbero evidenziate dalla evidente pericolosità criminale degli indagati, quale emergente sia dalla imponenza degli indizi posti a loro carico sia dai precedenti, a volte anche specifici, gravanti su di essi.
Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i ricordati indagati, alcuni dei quali attraverso un comune atto; in linea generale, tuttavia, i temi di impugnazione non pongono in evidenza situazioni di conflitto di interesse fra i vari indagati.
Tutti i ricorrenti lamentano la mancata dichiarazione di inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali derivante dalla produzione in atti sia dei decreti autorizzativi che delle richieste del Pm in forma ampiamente omissata.
Ciò, è spiegato nella ordinanza, è dovuto al fatto che si tratta di intercettazioni disposte nell’ambito di un diverso procedimento e le omissioni sono necessarie al fine di salvaguardare la segretezza delle indagini ancora in corso in tale procedimento.
Hanno, tuttavia, osservato i ricorrenti che in tale modo è stato vanificato il potere di controllo che le difese degli indagati possono esercitare sulla legittimità dei provvedimenti in questione.
L.F., il quale presenta due distinti ricorsi, ha lamentato altresì la insussistenza nei suoi confronti delle esigenze cautelari o comunque la inidoneità della motivazione del provvedimento impugnato a rappresentarle.
Con un comune ricorso, sebbene taluni dei motivi di impugnazione siano specificamente relativi solo ad alcuni dei ricorrenti, insorgono avverso il provvedimento del Tribunale del riesame i due L., il R., il Le., B.L., e D. S.E.; costoro oltre al già ricordato motivo concernente la inutilizzabilità delle intercettazioni, hanno lamentato, per quanti sono attinti dalla imputazione provvisoria di associazione per delinquere finalizzato al traffico di stupefacenti, la assenza dei necessari gravi indizi di colpevolezza relativamente alla sussistenza della detta associazione; gli indagati L.A. e B. L. si dolgono in ordine alla sussistenza degli elementi indizianti a loro carico in ordine al reato di tentato omicidio in danno di tale A.O., rilevando non solo che lo stesso A. ha fatto dichiarazioni che li avrebbero scagionati ma che comunque non vi sono elementi che ne evidenzierebbero la responsabilità nè tantomeno la volontà ornicidiaria. E’, parimenti, contestata la concludenza del quadro indiziario a carico di L.F., del R. e del D. relativamente alla sussistenza degli indizi a loro carico della estorsione loro provvisoriamente contestata, posto che la identificazione fotografica operata dalla persona offesa sarebbe viziata in quanto non sarebbero state mostrate a quest’ultima un numero congruo di immagini ma solo quelle degli indagati.
Nell’interesse di tutti gli indagati è lamentata la mancata corrispondenza della rilevazione delle esigenze cautelari al dettato nella novella legislativa contenuta nella L. n. 47 del 2015.
Il C., a sua volta ha lamentato, oltre alla inutilizzabilità della risultanze della captazioni, la assenza di idonea motivazione sia in merito alla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia in merito alla ricorrenza delle esigenze cautelari.
In data 1 ottobre 2015 hanno depositato motivi aggiunti, affidati a specifiche memorie, i seguenti indagati: D., il quale ha ribadito la inesistenza degli elementi a suo carico in ordine al reato di estorsione e la inadeguatezza della motivazione relativamente alle esigenze cautelari, non parametrata alla normativa vigente e la violazione di legge quanto alla valorizzazione dei suoi precedenti penali, posto che lo stesso è gravato da un solo pregiudizio, risalente alla sua minore età e per il quale è stato ammesso all’affidamento in prova ai servizi sociali, positivamente superato, sicchè di esso non deve tenersi più conto; R., il quale ha ribadito la assenza degli elementi concernenti la esistenza della associazione, che comunque potrebbe al massimo essere ricondotta alla associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6, nonchè la mancanza quanto alle esigenze cautelari, desunte dalla mera gravità del reato, del requisito della attualità e della concretezza; L.F., il quale ha ribadito, come fatto dal R., la insussistenza degli elementi accusatori relativi alla associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, contestando, altresì, la sussistenza degli elementi indiziari riguardanti l’episodio estorsivo a lui addebitato ed associandosi alle censure in ordine alla motivazione della ordinanza relativamente alle attualità e concretezza delle esigenze cautelari; L. A., oltre ad associarsi agli argomenti già sollevati dal fratello, ha insistito nel contestare la esistenza dei dati legittimanti la misura a suo carico in ordine al reato di tentato omicidio, analogamente a quanto fatto anche dall’ultimo ricorrente B.L., detto Br..
Infine la medesima difesa ha depositato una documentata memoria difensiva nell’interesse dei ricorrenti L.A. e L. F., R., Le., D. e B. datata 4 novembre 2015 nella quale si insisteva, in particolare, sulla inutilizzabilità degli esiti della intercettazioni eseguite a carico dei predetti.
MOTIVI DELLA DECISIONE:
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I ricorsi, risultati solo parzialmente fondati debbono essere, pertanto, accolti nei limiti di quanto di ragione.
Prendendo le mosse dalla comune censura avente ad oggetto la legittimità della utilizzazione a fini cautelari delle risultanze delle intercettazioni disposte nel corso di altro procedimento penale, si rileva, preliminarmente che, la ragione posta dai ricorrenti a sostegno della asserita inutilizzabilità deriva dal fatto che i relativi decreti autorizzativi nonchè le rispettive richieste del PM, in quanto emessi nel corso di una indagine formalmente distinta da quella nel corso della quale sono state disposte le misura cautelari oggetto della ordinanza attualmente impugnata, sono stati prodotti di fronte al Tribunale del riesame in forma largamente secretata, ciò all’evidente fine di non pregiudicare, a seguito di una intempestiva discovery, gli ulteriori esiti della indagine cui i predetti decreti e le predette richieste accedono.
Di ciò, tuttavia, si sono lamentati gli odierno imputati, affermando che in questo modo, non essendo stato dato loro libero ed incondizionato accesso alla predetta documentazione, sarebbe stato leso il loro diritto di difesa.
Il motivo di ricorso non è fondato; invero, rileva questa Corte che, in punto di fatto (va al riguardo ricordato che trattandosi di doglianza avente ad oggetto la pretesa violazione di disposizioni processuali questa Corte ha, infatti, con riferimento al fatto processuale, piena cognizione non limitata alla sola sfera della legittimità formale) non vi è dubbio che le intercettazioni sulla base delle quali sono stati disposti i provvedimenti cautelari sostanzialmente confermati dal Tribunale di Roma in funzione di giudice del riesame sono stati emessi nel corso di altro diverso procedimento penale, ancorchè evidentemente connesso con quello ora in esame; parimenti indubbio è che le predette attività di captazione sono state precedute da autorizzazione da parte della autorità giudiziaria; tanto è vero ciò che, in realtà, il Pm ha pacificamente provveduto all’invio al Tribunale del riesame dei predetti decreti; tale invio è, però, stato operato dopo che gli atti in questione erano stati largamente oscurati.
Ciò di cui si discute non è, pertanto, la esistenza materiale delle autorizzazioni in questione, ma la soddisfazione della regola secondo la quale è onere del Pm inviare al Tribunale del riesame la documentazione di indagine sino ad allora acquisita e ritenuta necessaria ai fini della adozione della misura cautelare di cui si tratta.
Al proposito osserva questa Corte che, in linea di principio, la giurisprudenza di legittimità si è attestata nell’affermare che la mancata allegazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche alla richiesta del Pm di emissione di misura cautelare nonchè la successiva omessa trasmissione degli stessi al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo non determina di per sè l’inutilizzabilità, nè la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni, a meno che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, e la stessa o il giudice non siano stati in condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (Corte di cassazione, Sezione 4^ penale, 15 febbraio 2013, n. 7521).
A tale principio deve, tuttavia, contrapporsene un altro, certamente più calzante rispetto al caso di specie, avente rispetto all’orientamento precedentemente illustrato un chiaro ed inequivocabile contenuto derogatorio.
Infatti, ancora di recente, questa Corte ha chiarito che, nel caso di risultanze di captazioni disposte nell’ambito di altro, diverso, procedimento penale, la loro utilizzazione nel procedimento penale nel corso del quale sono poi state disposte le misura cautelari oggetti di verifica di fronte al Tribunale del riesame non è subordinata alla produzione di fronte al tale organo giudiziario dei relativi decreti autorizzativi.
In tale senso, infatti, milita il chiaro disposto dell’art. 270 c.p.p., comma 2, il quale prevede come adempimenti necessari ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni, salvi i diversi limiti (peraltro ora non in discussione) sanciti dal comma 1 cit. disposizione, il solo deposito presso la autorità giudiziaria competente per il procedimento diverso da quello nel corso del quale l’attività captativa è stata disposta, delle registrazioni e dei verbali delle intercettazioni da utilizzare (Corte di cassazione, Sezione 1^ penale, 13 maggio 2015, n. 19792).
Analogamente a quanto sopra riportato, è stato altresì osservato da questa stessa Corte che nessun vizio è, pertanto, rilevabile laddove, in caso di intercettazioni disposte nel corso di altro procedimento, nel fascicolo del Tribunale del riesame siano stati inseriti i decreti autorizzativi in forma omissata per ragioni connessi alla preservazione del segreto investigativo rilevante nell’altro procedimento; in particolare la Corte ha, infatti, osservato che, in applicazione del generale principio di tassatività della cause di inutilizzabilità degli atti istruttori, fissato dall’art. 191 c.p.p., comma 1 (il quale espressamente fa seguire la sanzione della inutilizzabilità alla “violazione dei divieti stabiliti dalla legge”), tale conseguenza non può derivare alla ipotesi nella quale non siano stati depositati presso la cancelleria del giudice del procedimento diverso da quello per il quale sono state disposte le intercettazioni i decreti autorizzativi delle stesse non risultando tale adempimento prescritto da alcune norma (Corte di cassazione, Sezione 4^, 6 agosto 2015, n. 34288).
Va, peraltro, osservato che nel caso di specie neppure può essere messa in discussione, a cagione dell’avvenuto oscuramento delle copie depositate in atti dei più volte citati decreti autorizzativi e richieste del Pm, la pertinenza delle intercettazioni in questione agli attuali ricorrenti, posto che dall’esame degli atti in questione emerge nominativamente, non essendo state le relative parti omissate, il coinvolgimento di costoro nei fatti oggetto di indagine.
E tanto basterebbe a fare ritenere comunque avvenuta la ostensione della motivazione dei decreti coi quali sono state autorizzate le intercettazione de quibus, costituendo ciò certamente condizione più che sufficiente a rendere legittime le intercettazioni stesse, essendo in tal modo consentito alle parti, nell’esercizio del diritto di difesa, verificare la sussistenza, con riferimento alla loro specifica posizione, delle condizioni per la effettuazione delle captazioni in questione.
Riguardo poi al profilo concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, dedotto, sia pure con diverse declinazioni, dai vari ricorrenti, va confermata la ordinanza impugnata; questa, infatti, ha esaurientemente evidenziato, alla luce sia delle risultanze della captazioni (la cui piena utilizzabilità è stata or ora riaffermata), sia alla luce degli altri elementi indiziari emersi nel corso delle indagini preliminari, la completezza e la gravità del quadro indiziario a carico dei prevenuti.
In particolare, relativamente alla sussistenza della associazione rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 309 del 1990, art. 74 non può convenirsi con la difesa dei ricorrenti, secondo la quale la brevità del tempo durante il quale i predetti avrebbero realizzato le loro condotte criminose dovrebbe portare ad escludere la sussistenza del vincolo associativo che vale di distinguere il reato loro contestato date mere ipotesi di concorso nei singoli reati fine.
Al riguardo osserva, infatti, la Corte che, sebbene questa Corte abbia segnalato fra gli indici sintomatici della esistenza del vincolo associativo di cui alla disposizione che si contesta come violata dai ricorrente, la durata dell’accordo criminoso fra i soggetti inquisiti (in tal senso: Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 21 luglio 2014, n. 32081), tuttavia non può ritenersi che tale elemento, una volta superata la soglia dell’effimero accordo fra più soggetti volto alla commissione di uno o più reati determinati, debba avere un suo necessario ampio sviluppo nel tempo, essendo, viceversa, ben più significativi gli elementi sintomatici consistenti nella predisposizione, finalizzata ad una serie indeterminata di reati, di mezzi e persone, con una strutturazione dei ruoli e tendenziale (non necessariamente reale) stabilità nel tempo della organizzazione; diversamente ragionando, ove cioè si valorizzasse oltre misura il dato della durata del sodalizio criminoso, verrebbe meno l’elemento del reato in questione ogni qualvolta, per effetto del tempestive intervento repressivo dello Stato, la organizzazione, pur predisposta per durare un considerevole lasso di tempo, venga, invece, rapidamente smantellata, pur presentando la stessa tutti i restanti elementi sintomatici della associazione a delinquere (quale che ne sia la specifica finalità criminosa).
Analogamente infondate le doglianze per ciò che attiene ai gravi indizi di colpevolezza gravanti su L.A. e B. L. in ordine al reato di tentato omicidio in danno di tale A.O.; al riguardo il Tribunale, rilevata la identità fra l’episodio del ferimento obbiettivamente verificatosi a carico di costui ed il contenuto delle conversazioni intercorse fra taluni indagati in cui gli stessi rievocavano un episodio di ferimento, ha –
in maniera del tutto plausibile, tanto più in questa sede cautelare in cui ai fini della adozione delle misure è sufficiente la presenza di una responsabilità penale suffragata da elementi solo indiziari, ancorchè caratterizzati dalla gravità – fondato la permanenza della misura in atto sul contenuto di tali conversazioni in cui era evidenziata, sulla base della condotta posta in essere (il B. infatti si riferisce a sei botte – cioè sei colpi di pistola – indirizzate ad “altezza uomo”) la sussistenza, quantomeno a livello di dolo alternativo (certamente compatibile col tentativo:
Corte di cassazione, Sezione 1^ penale, 27 febbraio 2014, n. 9663), della volontà omicidiaria.
Quanto al motivo di impugnazione avente ad oggetto la irritualità della individuazione fotografica del R. e del D. quali autori della estorsione in danno di S.M., va ricordato che nella specie si è trattato di un riconoscimento operato in sede di indagini di pg, utilizzabile in sede cautelare per affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza – in assenza di profili che ne facciano ritenere l’inatterdibilità – senza che vi sia la necessità di verificare le metodologie seguite nello svolgimento della operazione – i cui risultati sono utilizzabili in quanto accertamento di fatto, non regolato dal codice di rito, in base al principio di non tassatività delle prove e del libero convincimento del giudice (Corte di cassazione, Sezione 2 penale, 24 febbraio 2009, n. 8315) – e quindi della loro rispondenza alla previsione di cui all’art. 213 cod. proc. pen., potendo fondatamente ritenersi che tali operazioni saranno seguite da un formale atto di riconoscimento o da una testimonianza che tale riconoscimento confermerà (Corte di cassazione, Sezione 2^ penale, 16 febbraio 2015, n. 6505).
Comune a tutti i ricorrenti è, come quella avente ad oggetto la censurata utilizzabilità dei risultati della attività captativa, la eccezione formulata in ordine alla congruità della motivazione della ordinanza impugnata rispetto alla sopravvenuta normativa in materia di misure cautelare personali.
Osserva al riguardo questa Corte che, come è noto, con L. n. 47 del 2015, il legislatore ha modificato la disciplina dei presupposti per la adozione delle misure cautelari; in particolare, per quanto ora interessa, il legislatore ha novellato l’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), esplicitando la indicazione secondo la quale, laddove la misura sia disposta onde prevenire il pericolo della reiterazione di reati della medesima specie di quelli per cui si procede, il pericolo del quo deve essere concreto ed attuale.
Onde chiarire il contenuto della espressione riportata e per evitare che la stessa si risolva in una endiadi, con conseguente annichilimento della portata innovativa della modifica legislativa, atteso che la caratteristica della concretezza del pericolo già era presente nei dettato legislativo anche anteriormente alla entrata in vigore della novella recata dalla citata L. n. 47 del 2015, questa Corte, in sede di prima applicazione della nuova norma, ha precisato che per ritenere “attuale” il pericolo “concreto” di reiterazione del reato, non è più sufficiente ipotizzare che la persona sottoposta alle indagini/imputata, presentandosene l’occasione, sicuramente (o con elevato grado di probabilità) continuerà a delinquere e/o a commettere i gravi reati indicati dall’art. 274 c.p.p., lett. c), ma è necessario ipotizzare anche la certezza o comunque l’elevata probabilità che l’occasione del delitto si verificherà.
Ne consegue che il giudizio prognostico non può più fondarsi sul seguente schema logico: “se si presenta l’occasione sicuramente, o molto probabilmente, la persona sottoposta alle indagini reitererà il delitto”, ma dovrà seguire la diversa, seguente impostazione:
“siccome è certo o comunque altamente probabile che si presenterà l’occasione del delitto, altrettanto certamente o comunque con elevato grado di probabilità la persona sottoposta alle indagini/imputata tornerà a delinquere”- (nei termini che precedono, oltre alla Sentenza da cui è stata tratta l’ampia citazione, cioè:
Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 15 settembre 2015, n. 37087, si veda anche la coeva, Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 15 settembre 2015, n. 37089).
Si è, con ciò, inteso precisare che, mentre in concretezza del pericolo della reiterazione della condotta illecita consiste nella obbiettiva attitudine del soggetto, laddove se ne presentasse l’occasione, a commettere reati della stessa specie di quelli per cui si procede, l’indagine sull’esistenza del parallelo requisito della attualità di siffatto pericolo impone la dimostrazione, in termini quantomeno di elevata probabilità, della immediata, o comunque cronologicamente vicina, se non addirittura prossima, sussistenza delle condizioni necessarie affinchè l’occasione di commettere l’illecito si presenti.
Tale verifica è stata, con riferimento alla ordinanza impugnata e relativamente a tutti i ricorrenti, sostanzialmente omessa dal Tribunale di Roma” il quale, sul punto, si è limitato ad evidenziare la esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dei prevenuti, tale da fare ritenere che gli stessi, data la loro propensione a delinquere, datane l’occasione, ricadrebbero nuovamente nell’illecito, mentre per la attualità del pericolo in questione lo ha genericamente desunto dal pregresso comportamento dei medesimi, attribuendo, pertanto, a questo elemento una duplice valenza sintomatica.
Essa, infatti, è stata in tal modo inammissibilmente riferita una prima volta alla concretezza del pericolo di reiterazione (attributo questo certamente desumibile, come fatto dal Tribunale capitolino, da fattori soggettivi quali la indole dei soggetti, la attitudine e la disponibilità a delinquere o, comunque, la capacità criminale dimostrata dai medesimi), ed una seconda volta alla sua attualità (che, invece, deve essere verificata con riferimento a dati obbiettivi riferiti alla sussistenza delle condizioni materiali per la reiterazione a breve della condotte criminose).
Sotto il descritto profilo la ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Roma, Sezione del riesame, che, in diversa composizione, riesaminerà il ricorso presentato avverso il provvedimento cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Roma in data 25 giugno 2015, verificando, alla luce dei principi espressi, la sussistenza, quanto alle esigenze cautelari, delle condizioni per il mantenimento della misura a carico dei ricorrenti.
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PQM
P.Q.M.Annulla la ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma, Sezione del riesame, limitatamente alle esigenze cautelari.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Dispone altresì che il presente provvedimento sia trasmesso in copia, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. ai direttori degli istituti penitenziari ove i ricorrenti sono, attualmente custoditi.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2016.